V DOMENICA DI QUARESIMA
“Il
Signore disse a Mosè: “Và, scendi, perché il
tuo popolo, che hai fatto uscire
dalla terra d’Egitto, si è pervertito. Non hanno tardato ad allontanarsi dalla
via che io avevo loro indicata! … Ora lascia
che la mia ira si accenda contro di loro e li divori. … Mosè allora
supplicò il Signore, suo Dio, e disse: “perché, Signore, si accenderà la tua
ira contro il tuo popolo, che hai fato uscire dalla terra d’Egitto …? Desisti
dall’ardore della tua ira e abbandona il proposito di fare del male al tuo
popolo. … Il Signore si pentì del male che aveva minacciato di fare al suo
popolo” (Es 32,7ss). Se rileggiamo con attenzione queste parole, non
possiamo non rimanere stupiti; Mosè fa proprio un figurone, ma in compenso Dio
appare ben poco piacevole.
All’infedeltà del suo popolo, infatti Egli
risponde rinnegandone la paternità e con un progetto di distruzione. Per
fortuna che Mosè lo calma, lo prende in disparte e lo convince a non fare del
male a quei poveri disgraziati.
E’ proprio questo il nostro Dio? Ha mai
avuto veramente progetti di male sugli uomini? E’ Dio a essere violento e iroso
o sono gli uomini che da sempre si sono ostinati a immaginarselo a modo loro?
Non è forse che ci siamo appropriati delle parole del Creatore, il quale ha
detto: “Facciamo l’uomo a nostra immagine
e somiglianza” e le abbiamo trasformate in: “Facciamo Dio a nostra immagine e somiglianza?”.
Ecco perché è così importante che
ascoltiamo cosa ha da dirci oggi Gesù. Alcuni greci – uomini di origine pagana,
attratti dalla religione ebraica, ma non circoncisi – chiedono di vedere Gesù,
e quando il Signore lo viene a sapere, sembra dare una risposta senza senso: “E’ venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia
glorificato. In verità, in verità vi dico: se il chicco di grano, caduto in
terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto” (Gv
12,23s). Non bastava rispondere: “Arrivo”, oppure, “ditegli di venire qua” o
ancora, “non ho tempo”?
Per comprendere la risposta di Gesù dobbiamo
chiedere aiuto all’Antico Testamento:
Io renderò ostinato il cuore del faraone, ed egli li inseguirà; io
dimostrerò la mia gloria contro il
faraone e tutto il suo esercito, così gli Egiziani sapranno che io sono il
Signore!» (Es 14,4)
Ora, mentre Aronne parlava a tutta la comunità degli Israeliti, essi si
voltarono verso il deserto: ed ecco, la gloria
del Signore si manifestò attraverso la nube (Es 16,10).
La gloria del Signore
appariva agli occhi degli Israeliti come fuoco divorante sulla cima della
montagna (Es 24,17).
In questi tre casi la “gloria” indica il modo attraverso il quale Dio si rende presente
nella storia: attraverso il suo agire (combattendo gli Egizi) o per mezzo di
segni tangibili (la nube e il fuoco). La gloria è il segno visibile dello
splendore di Dio.
Quando Gesù annuncia che è giunta
l’ora della sua glorificazione e paragona ciò che sta per accadergli –
passione, morte e resurrezione – al processo tipico del chicco di frumento che,
per trasformarsi in spiga deve decomporsi, sta dicendo: “Chi mi vuole
conoscere, ora vedrà veramente chi sono. Io sto per andare a Gerusalemme e lì
sarò sottoposto a un’umiliazione indicibile, alla tortura e infine alla morte”.
Siccome Gesù dichiara: “Chi vede me, vede
il Padre”, sta mostrandoci il vero volto del Creatore. Egli non è Colui che
si irrita con l’uomo peccatore, ma Colui che si lascia “macinare”, per salvare
l’uomo peccatore. Non è la sua morte, non la sua sofferenza che ci salvano,
bensì l’amore che lo spinge ad accettare questo trattamento. Dalla croce, Gesù
mostra il vero volto di Dio e nello stesso tempo l’importanza dell’uomo e di
ogni uomo. E’ l’amore che salva. Per questo la risposta di Gesù ai greci ha un
senso.
Gesù non si ferma lì, ma dichiara: “Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove
sono io, la sarà anche il mio servitore” (Gv 12, 26). Essere cristiani,
significa lasciarsi trasformare il Cristo dall’azione dello Spirito Santo. Gesù
ci mostra che dobbiamo entrare nella logica dell’amore, perché dove non c’è
amore, Dio non c’è. Lo afferma con chiarezza l’apostolo Giovanni: “Chi dice di essere nella luce e odia suo
fratello, è ancora nelle tenebre. Chi ama suo fratello, rimane nella luce e non
vi è in lui occasione di inciampo. Ma chi odia suo fratello, è nelle tenebre,
cammina nelle tenebre e non sa dove va, perché le tenebre hanno accecato i suoi
occhi” (1Gv 2,9ss). “Noi sappiamo che
siamo passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli. Chi non ama
rimane nella morte. Chiunque odia il proprio fratello è omicida … In questo
abbiamo conosciuto l’amore, nel fatto che egli ha dato la sua vita per noi;
quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli” (3.14ss).
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