XIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
Quasi quarant’anni fa (1 ottobre 1957) fu ghigliottinato un giovane francese –
Jacques Fesch -, a causa di un omicidio involontario durante una rapina.
Jacques, del quale è in corso la causa di beatificazione, incontrò il Signore
nella sua cella d’isolamento. Egli stesso racconta quel momento nel suo diario:
“Ero nel mio letto, gli occhi aperti e
soffrivo realmente per la prima volta della mia vita con un’intensità rara, a
causa di ciò che mi era stato rivelato a proposito di alcune cose di famiglia,
e allora un grido è scaturito dal mio petto, una richiesta di aiuto: “Mio Dio”
e istantaneamente, come un vento violento che passa senza che sia sappia di
dove viene, lo Spirito del Signore mi ha preso alla gola. Non è un’immagine, si
ha realmente la sensazione che la gola si chiuda; e che uno spirito entri in
sé, troppo forte per il contenitore che lo riceve. E’ un’impressione di forza
infinita e di dolcezza che non si potrebbe sopportare a lungo”.[1]
Cito questo episodio, al qual e faccio spesso riferimento, perché può
aiutarci a comprendere il senso delle parole di Paolo: “Quando sono debole, è allora che sono forte” (2Cor,12,10). Al
termine della lettura abbiamo risposto all’acclamazione “Parola di Dio”,
dicendo: “Rendiamo grazie a Dio”, ma non so quanti di noi sono realmente
d’accordo con le parole dell’apostolo. Credo piuttosto che siamo dell’idea che
tutto debba andare bene – nella salute, negli affetti, negli affari – allora si
che siamo forti.
Attenzione non sto facendo una difesa della sofferenza, quasi che essa
sia in sé positiva. Troppi pensano che il cristianesimo sia la religione dei
sofferenti – “Beati gli afflitti, perché
di essi è il regno dei cieli” -; e guai a chi non offre con gioia le
proprie sofferenze a Dio.
Paolo non sta facendo un ragionamento, ma condivide una scoperta che ha
fatto personalmente, sulla propria pelle, come Jacques. Egli, come ognuno di
noi quando si trova nella prova, ha chiesto di essere liberato, sollevato dalla
fatica, eppure il Signore non lo ha accontentato, anzi gli ha dato una risposta
strana: “la mia potenza si manifesta
pienamente nella debolezza”. Forse Dio ha bisogno di tenere gli uomini
sottomessi, con un pesante giogo sulle spalle, così non se ne vanno autonomi? La
debolezza è forse l’arma che Dio usa per non consentire alle creature umane di
essere libere, senza di Lui; di svilupparsi pienamente?
I Salmi possono aiutarci a comprendere il senso di queste parole: “L’uomo nella prosperità non dura, è simile
alle bestie che muoiono” (Salmo 48,13) e ancora “Ho detto, nella mia sicurezza:
«Mai potrò vacillare!. Nella tua bontà, o Signore, mi avevi posto sul mio monte sicuro;
il tuo volto hai nascosto e lo spavento mi ha preso” (Salmo 30,7). Quando tutto fila liscio, ci illudiamo di essere signori della nostra storia; rischiamo di pensare di non avere bisogno di niente e di nessuno. Basta però che una difficoltà ci raggiunga e allora facciamo subito l’esperienza della nostra fragilità. Ebbene questo è proprio un momento favorevole, perché ci scontriamo con ciò che è vero: non siamo autosufficienti; non siamo onnipotenti, ma siamo creature bisognose dell’aiuto dei nostri simili e anche di Dio. Chi si accorge di avere bisogno di aiuto, lo chiede e diventa disponibile ad accoglierlo. Per questo Paolo si riconosce forte nella debolezza, perché sente che Dio lo può soccorrere, può comare il suo limite. La forza viene da Dio.
«Mai potrò vacillare!. Nella tua bontà, o Signore, mi avevi posto sul mio monte sicuro;
il tuo volto hai nascosto e lo spavento mi ha preso” (Salmo 30,7). Quando tutto fila liscio, ci illudiamo di essere signori della nostra storia; rischiamo di pensare di non avere bisogno di niente e di nessuno. Basta però che una difficoltà ci raggiunga e allora facciamo subito l’esperienza della nostra fragilità. Ebbene questo è proprio un momento favorevole, perché ci scontriamo con ciò che è vero: non siamo autosufficienti; non siamo onnipotenti, ma siamo creature bisognose dell’aiuto dei nostri simili e anche di Dio. Chi si accorge di avere bisogno di aiuto, lo chiede e diventa disponibile ad accoglierlo. Per questo Paolo si riconosce forte nella debolezza, perché sente che Dio lo può soccorrere, può comare il suo limite. La forza viene da Dio.
Anche se non ce ne accorgiamo, spesso frapponiamo delle barriere tra noi
e Dio – anche noi credenti e praticanti -. Egli fa una grande fatica a
raggiungerci, però, basta che in questa barriera si formi un varco, anche
piccolo, perché possa entrare nella nostra vita e risanarla. La fatica della
vita, a volte, consente proprio questo; ci si trova indifesi, deboli e, quindi
più facilmente raggiungibili.
Quanto detto non significa che Dio risolve
i problemi – Paolo non viene liberato dalla “spina nella carne” -, ma essi perdono
la capacità di schiacciarci.
Tornando al nostro Jacques, che finì in galera a causa di una ricerca di
libertà che non riusciva a raggiungere, proprio in carcere, in cella di
isolamento, in attesa della morte, ha cominciato a vivere in pienezza. Proprio
nell’ultimo giorno prima di morire, scrive ne diario: “Ultimo giorno di lotta, domani a quest’ora sarò in cielo! Il mio avvocato mi ha appena
avvisato che l’esecuzione avrà luogo verso le quattro del mattino. Che la
volontà del Signore sia fatta in tutte le cose! Confido nell’amore di Gesù e so
che comanderà ai suoi angeli de portarmi sulle loro mani. Che io muoia come il
Signore vuole che io muoia, tuttavia sono sicuro che nella sua bontà Gesù mi
donerà una morte da cristiano, al fine che fino alla fine possa rendere
testimonianza”. Non illudiamoci non è tutta poesia, infatti scrive anche: “La sera scende e mi sento triste, triste …
La morte si avvicina e la mia gioia è sparita, anche se non ho paura. Solamente
il regno dei cieli se n’è andato e sono solo!”.[2]
Non siamo chiamati a cercare la
sofferenza, non siamo chiamati ad amarla, ma a non fuggirla; essa può diventare
l’occasione fondamentale per la nostra storia, quella nella quale il Signore
può aprirsi un varco per entrare nel nostro deserto e farlo fiorire.La mia ferita, Signroe, diventi un varco per la tua presenza in me.
A volte ci opponiamo con tutte le forze alla sofferenza e, la rabbia che ci avvolge, non ci permette di aprire un varco, affinchè Dio possa raggiungere il nostro cuore. La sofferenza ci rende, spesso, diffidenti nei confronti di chicessia e ci allontana dalla capacità di affidarci con serenità a Chi ha le braccia giuste per accoglierci. Ciao. Anna
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