II DOMENICA T.O.
Nella Comunità di Corinto molte cose non
quadravano. La piccola Chiesa, formata prevalentemente da schiavi e gente delle
classi più basse, quasi spariva nella ricca città portuale, punto d’incontro,
non solo economico, ma anche culturale, tra oriente e Occidente. Essa si
trovava esposta a molte idee e influssi
stranieri, per cui correva il rischio di accettare in maniera acritica lo stile
di vita e i valori del mondo circostante. Tra l’altro praticamente tutti i
cristiani di Corinto venivano dal paganesimo ed erano in qualche modo rimasti legati, alla sua “spiritualità”, al modo di
pensare e di agire. Infatti l’apostolo dirà loro: “In questo non vi lodo” (1Cor 11,22), quando li vede ancora agire
secondo lo stile del passato.
Pur essendo minoranza, invece di unirsi
più strettamente per rinforzare la propria fede, all’interno della Chiesa si
erano formati dei gruppi in discordia tra loro, tant’è che a un certo punto,
san Paolo dovette scrivere: “non vi siano
divisioni tra voi, ma siate in perfetta unione di pensiero e di sentire.
Infatti a vostro riguardo, fratelli, mi è stato segnalato … che tra voi vi sono
discordie” (1Cor 1,10s). Paolo scrive: “Noi
siamo … dinanzi a Dio il profumo di Cristo” (2Cor 2,15), invece, come il cattivo odore si
diffonde, così si erano diffuse le notizie circa l’incoerenza el divisioni nella Chiesa di Corinto.
Noi oggi ci strapperemmo i capelli e
riempiremmo i giornali di grida scandalizzate, invece, nonostante tale
situazione, non certamente ideale, Paolo concede alla comunità il titolo di “Chiesa di Dio a Corinto” (1,2). Egli non
si ferma alla superficie delle cose, ma guarda più in profondità e, dietro alla
facciata, seppure non esaltante, riconosce che Dio ha affidato a questa “povera”
gente, il suo messaggio; Dio è entrato in relazione con queste persone. E’
grande questo messaggio: la Chiesa non è un gruppo di èlite, non è una realtà
di incontaminati e puri, che potrebbe insuperbirsi della propria perfezione e
chiudere la porta a tutti gli altri.
Mi piace dire che, come non ci stupiremmo,
di incontrare malati e feriti in un ospedale, così non ci si deve stupire di
trovare peccatori e incoerenti nella Chiesa. Anche papa Francesco ha definito
la Chiesa come un ospedale da campo. Più precisamente egli ha affermato: «Io vedo con chiarezza che la cosa di cui la
Chiesa ha più bisogno oggi è la capacità di curare le ferite e di riscaldare il
cuore dei fedeli, la vicinanza, la prossimità. Io vedo la Chiesa come un
ospedale da campo dopo una battaglia. È inutile chiedere a un ferito grave se ha
il colesterolo e gli zuccheri alti! Si devono curare le sue ferite. Poi potremo
parlare di tutto il resto. Curare le ferite, curare le ferite… E bisogna
cominciare dal basso».
Scriveva un predicatore tedesco: “Dovremmo amare la Chiesa, anche solo come
recipiente di terra che nasconde il tesoro del Vangelo. Non possiamo dire: “non
mi piaci, non mi sono gradite le persone che si trovano in te, mi ripugna il
tuo agire, perciò me ne sto lontano”. Dio ha voluto nascondere la sua perla
in questo povero campo sassoso. Chi si scandalizza per questo contenitore, non
sempre attraente, rinuncia alla bellezza che esso contiene. Chi disprezza la
sua comunità locale, forse povera e apparentemente sterile, rischia di perdere
anche il Signore, che non ha, invece, paura di sporcarsi, rimanendo presente in
essa.
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