“Dio è amore. In questo si è manifestato l’amore
di Dio in noi:
Dio ha mandato il suo Figlio unigenito, perché noi avessimo la
vita per mezzo di lui. In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio,
ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione
per i nostri peccati” (1Gv 4,8-10). Sono parole importantissime: Dio ci ha
amati per primo. Come? Mandando il suo Figlio. Scrive san Paolo: “Cristo Gesù, pur essendo di natura divina,
non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio”. Gesù ha accettato
di entrare nella fragilità della condizione umana, nascendo in una povera
famiglia; vivendo gran parte della sua esistenza nel più assoluto anonimato,
tanto che, coloro che lo videro agire nei tre anni della vita pubblica,
rimasero stupiti di tanta novità: “Non è
costui il figlio di Giuseppe?”. Soprattutto, dopo avere fatto del bene a
tutti coloro che ha incontrato (guarendoli nel corpo e nello spirito), ha
accolto la violenza barbara della flagellazione e crocifissione. Tutto questo,
perché l’amore o è fattivo o non è. Ce lo ricorda Giovanni: “Non amiamo con le parole e con la lingua, ma
coi fatti e nella verità”. Dio non è
rimasto nel suo cielo, a guardarci, ma si è sporcato le mani.
Dio continua ad amare, mandandoci gli uni
agli altri.
Cristo non ha mani ha soltanto le nostre mani per fare il suo lavoro oggi.
Cristo non ha piedi ha soltanto i nostri piedi per guidare gli uomini
sui suoi sentieri.
Cristo non ha labbra ha soltanto le nostre labbra per raccontare di sé agli
uomini d'oggi.
Cristo non ha mezzi ha soltanto il nostro aiuto per condurre gli uomini a
sé.
Noi siamo l'unica Bibbia che i popoli leggono ancora. Siamo l'ultimo
messaggio di Dio scritto in opere e parole.
E ora tocca a voi battervi gioventù del mondo; siate intransigenti sul
dovere di amare.
Ridete di coloro che vi parleranno di prudenza, di convenienza, che
vi consiglieranno di mantenere
il giusto equilibrio.
La più grande disgrazia che vi possa capitare è di non essere utili a
nessuno,
e che la vostra vita non serva a niente.
R. Follereau
Quando noi rifiutiamo, per le più varie
ragioni, di prestare a Dio le nostre mani, i nostri piedi, la nostra bocca; Dio
è ostacolato o addirittura impedito nell’amare.
Il Padre ama noi, mandando per noi Suo Figlio; il Figlio ama il Padre e
noi, obbedendo alla Sua volontà – “Padre, se è possibile, passi da me questo
calice, ma non la mia volontà, ma la tua sia fatta” -.
Gesù ci chiede di mostrargli il nostro amore, obbedendo ai suoi
comandamenti, con “quell’obbedienza
fiduciosa che non domanda spiegazioni, ma semplicemente obbedisce, e lo fa, non
a motivo di ciò che viene ordinato, ma a causa di colui che ordina” (M. Delbrel).
Ancora lei, ci dice: “Domandati in ogni
cosa: “Che cosa avrebbe fatto il Signore?, e fallo. E’ la tua sola regola, ma è
la regola assoluta”. “Gesù esige orecchi di fanciulli che non aggiungano nulla
e non sottraggano nulla a ciò che intendono; poi che lo realizzino come l’hanno
inteso”.
L’amore, proprio perché è fattivo, deve
concretizzarsi lì dove viviamo, non dove vorremmo essere o dove saremo un
giorno; non con i lontani, ma con i vicini.
Cito ancora la Delbrel, perché mi pare che sappia andare al cuore del
comando di Gesù, quando propone a ciascuno di noi di esser “un tenero fratello … con chiunque incontri …
ascoltando molto e parlando poco. Significherà dare a ciascuno ciò di cui ha
bisogno, perché Gesù è essenzialmente colui che dona … senza prestabilire ciò che si può fare e ciò che non si può fare …
Vedendo nei peccatori, dei fratelli che
non sanno che cosa fanno e serbar loro il miglio calore del nostro cuore”.
Non posso concludere che, con una
profonda richiesta di perdono a Dio, per tutte le volte che mi sono riempito la
bocca, ma non ho reso disponibile il cuore. Aiutaci Signore a essere portatori
di quell’amore, che viene da Te e che salva il mondo.
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