III DOM. T.O
I giovani della Gioventù Francescana stanno per emettere la loro
promessa davanti a Dio e a tutti noi; tra breve diranno: “O Padre nostro amoroso, … promettiamo di vivere la nostra giovinezza
immersa nel Cristo Tuo Figlio, sull'esempio
del mite poverello di Assisi”.
Il Vangelo di oggi sembra scelto apposta;
il Signore ha voluto dire qualcosa a voi fratelli carissimi e a tutti noi,
attraverso di voi. “Venite dietro a me” (Mt 4,19), sono le Sue parole
che, sono la sintesi di tutta la vita cristiana.
Quando qualcuno ci chiede: “Chi sei tu
cristiano?”, noi possiamo rispondere: io sono uno che vuole stare con Cristo che, cerca di andare dietro a Lui,
per essere trasformato in Lui dalla potenza dello Spirito Santo.
Essere trasformato in Lui? Non è
un’esagerazione, qualcosa di impossibile, oltreché ingiusto (io voglio rimanere
me stesso)?
Impossibile alle nostre forze, certamente,
ma non impossibile a Dio.
Trasformare, deriva da trans- al di là e formare- dare forma e
significa mutare forma a qualcosa o a qualcuno; vuol dire che, pur partendo da
una materia, avviene un cambiamento in seguito a qualche fatto.
Quando voglio produrre del pane, devo prendere
il frumento, macinarlo per trasformarlo in farina; impastarla con acqua e
lievito e quindi, cuocerlo. La trasformazione è un processo che, comporta dei
passi da percorrere.
Gesù ci ha appena detto: “Convertitevi
e credete al Vangelo” (Mt 4,17), l’espressione greca è metanoeite
ossia,
lasciate che cambi la vostra mente.
Ecco che, subito, Gesù si mette a chiamare alcuni pescatori che,
lasciano le loro barche e le loro famiglie. E’ un primo passo: “Cristo chiama e, senza ulteriore intervento,
chi è chiamato obbedisce prontamente. Il discepolo non risponde confessando a
parole la sua fede in Gesù, ma con un atto di obbedienza” (Bonhoeffer, Sequela, 12).
La nostra trasformazione può avvenire se cominciamo a seguire Gesù e a
stare con Lui. Quando si parte, probabilmente c’è solo l’entusiasmo che ci
accompagna, molto è ancora da capire ma, “chi ben comincia è a metà
dell’opera”.
Andare dietro a Gesù, comporta la necessità
di fare delle scelte: smettere di vagare disordinatamente, senza una meta;
smettere di seguire altri che non siano Cristo.
Chi sono questi altri? Noi stessi.
Questa è l’autonomia; quella malattia
dell’anima che ci rende come delle isole senza attracco, dove siamo padroni e
signori di noi stessi; dove i nostri desideri e la nostra volontà sono legge.
E’ evidente che, in questo caso, anche Dio
non può accedere allo spazio del cuore: rimane chiuso fuori. Siamo
spiritualmente autonomi, anche se non manchiamo a una S. Messa e meditiamo la
Parola di Dio, ma Dio non ha possibilità di incidere sulla carne delle nostre
scelte.
L’altra
malattia dell’anima è la eteronomia, dove a determinarci è qualcosa al di fuori
di noi stessi: mode, pensiero comune, le attese altrui, ideologie.
Se
l’autonomo dice: “Io la penso così e quindi agisco di conseguenza”, costui
pensa e, di conseguenza, agisce, come gli chiede il suo riferimento esterno,
anche se ciò è incompatibile con il Vangelo.
Mentre
l’autonomo pensa di trovare in sé la via giusta e chi è eterodiretto, la trova
fuori di sé, noi sappiamo di trovare in Dio la via della libertà: Lui è la via,
la verità e la vita.
Questi
giovani hanno accettato di seguire l’esempio di Francesco di Assisi. I santi
sono stati, non solo persone buone, ma soprattutto persone libere. Hanno saputo
andare oltre tutti i limiti e condizionamenti culturali, anche della Chiesa,
perché erano direttamente legati a Dio, in un rapporto intenso e continuo e,
per questo, sono ancora capaci di indirizzare i nostri passi.
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