Diventare cattolici non significa smettere di pensare, ma imparare a farlo”.
Gilbert K. Chesterton

domenica 20 gennaio 2019

Non siamo di "bocca buona"


II DOM. T.O.

     Chi è abituato a nutrirsi di cibo confezionato, lo definisce buono, perché non ha mai assaggiato quello fatto in casa, da mani esperte; anzi può succedere che, mangiando quello casalingo, non lo trovi di proprio gusto.
Provate  ad assaggiare la maionese del supermercato e quella fatta con le uova, l’olio, il limone e un po’ di sale: non sono nemmeno parenti.
     Alla nostra mensa arriva tanta pasta, compresi i famosi anolini e i tortelli, certo non sono male, ma i cappelletti che faceva mia mamma, erano un’altra cosa. Lo sanno molto bene coloro che dal Sud si vedono arrivare i famosi pacchi alimentari con le arance, i limoni, le noci, l’olio, ecc …, sapori completamente diversi da quanto si trova oggi sui banchi dei negozi.
     La nostra bocca si abitua ai cibi, arrivando a giudicarli buoni, quando non sono altro che una mediocre imitazioni della vera bontà. Quando però qualcuno ci invita alla sua tavola e ci prepara piatti buoni, con ingredienti genuini, scopriamo un mondo di sapori nuovi e ci si accorge della differenza - dovreste assaggaire il risotto alla Parmigiana che mi prepara Marianna quando mi invita a cena a casa sua -.
      Ho fatto questa lunga premessa, perché oltre alla nostra bocca, anche il nostro spirito rischia di abituarsi a una spiritualità senza sapore, un po’ sintetica, ma che ci lascia nell’illusione di essere sulla strada giusta e non ci fa credere possibile una via alternativa.
     Io credo che molta gente stia lontana dalla Chiesa, nella convinzione che smerci solo cibi scaduti,  da mangiare insieme a gente triste con problemi di digestione. Quale errore!
     Ecco allora che acquista luce l’episodio delle nozze di Cana. Gesù approfitta di una festa di nozze, perché sa bene che il banchetto, la festa, la gioia, sono usati molto spesso nella Sacra Scrittura per indicare lo spazio nel quale Dio vuole vivere con il Suo popolo: “Il regno dei cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio. Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non volevano venire. Mandò di nuovo altri servi con quest’ordine: “Dite agli invitati: Ecco, ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e gli animali ingrassati sono già uccisi e tutto è pronto; venite alle nozze!” (Mt 22,2ss). Dio ci vuole tutti a questa festa. A Cana i presenti comprendono che Gesù è il portatore di un “vino” più buono; tutto ciò che è venuto prima non è paragonabile.
     Ecco cosa è la Chiesa, un luogo dove non ci si accontenta di ciò che “passa il convento”, ma si cerca e si accoglie il “vino buono”. Quando poi si ha la grazia di gustarlo, tutto cambia, perché si prende coscienza di avere perso tempo dietro a ciò che non era adeguato: “O voi tutti assetati, venite all’acqua, voi che non avete denaro, venite, comprate e mangiate; venite, comprate senza denaro, senza pagare, vino e latte. Perché spendete denaro per ciò che non è pane, il vostro guadagno per ciò che non sazia? Su, ascoltatemi e mangerete cose buone e gusterete cibi succulenti” (Is 55,1ss).
    Gesù è il vino buono, il Suo Vangelo è il vino buono, ma se non andiamo ad abbeverarci alla sua sorgente, non rimane che una parola incapace di darci vita. Così scrive Madeleine Delbrel: “le parole non sono fatte per rimanere inerti nei nostri libri, ma per prenderci e correre il mondo in noi.  Lascia, o Signore, che di quella lezione di felicità, di quel fuoco di gioia che accendesti un giorno sul monte, alcune scintille ci tocchino, ci mordano, c'investano, ci invadano.
Fa' che da essi penetrati come "faville nelle stoppie", noi corriamo le strade di città accompagnando l'onda delle folle, contagiosi di beatitudine, di gioia.
Perché ne abbiamo veramente abbastanza di tutti i banditori di cattive notizie, di tristi notizie: essi fan talmente rumore che la tua parola non risuona più.
Fa' esplodere nel loro frastuono il nostro silenzio che palpita del tuo messaggio”.
    

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