PENTECOSTE
“Se mi amate, osserverete i miei
comandamenti” (Gv 14,15). Ventotto anni fa il Signore mi ha sedotto e ha
spalancato davanti a me un mondo che non conoscevo, ma che inconsapevolmente
cercavo e che mi ha affascinato a tal punto, da sentire che non desideravo
altro che lasciare tutto per entrarvi e percorrere le sue strade.
Dopo tutti
questi anni sono ancora più convinto della bontà di quella scelta. Oggi sento
di amare il Signore di un amore più maturo e solido. C’è però una preghiera che
mi accompagna: “O lacrime dove siete? Dove
sei, fontana zampillante del mio cuore? Con cosa laverò la mia anima, con cosa
monderò i miei peccati? … Dove siete onde del rimorso? Ritornate a me, lacrime
mie, compunzione e pentimento, ve lo domando nel nome del Cristo Dio. … Signore
Gesù, … io vedo il mio errore, la mia colpa, il mio peccato, ma non riesco a
piangerlo”.
Questo significa che ancora stento a “osservare i comandamenti del
Signore”, anche se sono pienamente convinto che “gli ordini del Signore sono
giusti, fanno
gioire il cuore;
i comandi del Signore sono limpidi, danno luce agli occhi” (Salmo 18,9). Quanta strada c’è ancora da percorrere prima di poter dire: “Sono stato crocifisso con Cristo, e non vivo più io, ma Cristo vive in me. E questa vita, che io vivo nel corpo, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me” (Gal 2,19s). Faccio mie le parole del poeta Racine: “Dio mio, che guerra crudele, trovo in me due uomini, uno vuole che, pieno d’amore per Te il mio cuore Ti sia sempre fedele, l’altro, ribelle ai Tuoi voleri mi induce a rivoltarmi contro la Tua legge” e soprattutto di san Paolo: “In me c'è il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio” (Rm 7,18s). Credo, a questo punto, di essere in buona compagnia, ma il “mal comune è mezzo gaudio” non mi consola.
i comandi del Signore sono limpidi, danno luce agli occhi” (Salmo 18,9). Quanta strada c’è ancora da percorrere prima di poter dire: “Sono stato crocifisso con Cristo, e non vivo più io, ma Cristo vive in me. E questa vita, che io vivo nel corpo, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me” (Gal 2,19s). Faccio mie le parole del poeta Racine: “Dio mio, che guerra crudele, trovo in me due uomini, uno vuole che, pieno d’amore per Te il mio cuore Ti sia sempre fedele, l’altro, ribelle ai Tuoi voleri mi induce a rivoltarmi contro la Tua legge” e soprattutto di san Paolo: “In me c'è il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio” (Rm 7,18s). Credo, a questo punto, di essere in buona compagnia, ma il “mal comune è mezzo gaudio” non mi consola.
Perché quest’amore per Dio ancora non
riesce a generare frutti adeguati? Perché “non
camminiamo sempre secondo lo Spirito, ma secondo la carne”. Cosa significa?
La carne non ha niente a che fare con il corpo fisico, bensì indica l’essere
umano nella sua natura ferita dal peccato, con l’inclinazione al male. Uso un
esempio che, pur con i limiti che ha, può aiutarci a capire. Qui in convento
abbiamo una voliera con cinque cocorite; siccome non mi piace vedere gli
animali in gabbia, ho deciso di
lasciargli aperta una via di uscita, ebbene in tutta la giornata non una di
loro è scappata. Questo significa che, pur potendo volare libere, hanno “scelto”
di rimanere prigioniere. Noi a volte siamo così: abbiamo la possibilità di fare
il bene, di accogliere e realizzare il Regno di Dio, invece scegliamo di stare
da un’altra parte.
Quando san Paolo parla di “carne”, indica questa
realtà interna che sembra più forte, che domina, che porta verso il male e che
ci provoca a rimanere schiavi delle logiche del mondo e dall’autonomia da Dio. La
carne ci rende cattivi, nel senso etimologico “captivus”, prigionieri. “Me infelice! Chi mi libererà da questo corpo
di morte?” (Rm 7,24).
Pur essendo dimora dello Spirito Santo,
grazie al Battesimo e alla Cresima, non è Lui che domina la nostra esistenza.
Perché? Perché Dio non si impone mai. Lo Spirito è “ospite dolce dell’anima” e non obbliga nessuno. Scrive sant’Agostino:
“Tutto
procede da Dio; non però restando noi come sonnacchiosi, come restii a ogni
sforzo, quasi contro voglia. Senza la tua volontà, in te non ci sarà la
giustizia di Dio. … Dio ti ha fatto senza di te. In realtà non sei intervenuto
con un qualche assenso perché Dio ti facesse. … Perciò chi ti ha formato senza
di te, non ti renderà giusto senza di te” (Sant’Agostino,Sermone 169, 10).
Vieni o Spirito Creatore, insegnami a
vivere da uomo libero; capace di scegliere la via di Dio, nonostante la voce
che mi vuole schiavo; portami dove vuoi Tu, così scoprirò quanto è grande la
Tua fantasia; realizzare con me e per me,
ciò che nemmeno riesco a immaginare; rendi di carne, il mio cuore di pietra, così che, chi incontrerà me, potrà riconoscere
la Tua presenza; sciogli la mia lingua, perché possa annunciare con semplicità
e franchezza la Parola che genera vita; fa di me un uomo che fa ciò che sa
essere buono e bello.
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